Gli attacchi di panico sono un disturbo d’ansia estremamente diffuso, si pensi che solo in Italia la stima è di 10.000.000 di persone che hanno avuto almeno un attacco di panico di panico; l’incidenza è ancora maggiore se si considera il sesso femminili, addirittura di una donna su tre.
L’attacco di panico è contraddistinto da un intensa apprensione, paura ed ansia, è improvviso ed ha una breve durata solitamente; nello specifico, i sintomi sono: tremori (piccole o grandi vibrazioni), dolore al petto, tachicardia, sudorazione, sensazione di soffocamento, respiro frequento o sensazione di asfissia, sensazioni di sbansamento, di instabilità o di svenimento, paura di morire, paura di fare una brutta figura, formicolio o sensazioni di torpore, paura di impazzire o perdere il controllo, sensazione di dover andare al bagno, gambe molli, nausea o dolori addominali, sensazioni di irrealtà, di stranezza o di distacco dall’ambiente, brividi e vampate. Secondo il manuale diagnostico DSM-IV è diagnosticabile il Disturbo di Panico se sono presenti almeno 4 di tali sintomi.
Pensieri come “avrò un infarto” o “farò una figuraccia davanti a tutti” o “adesso svengo” sembrano così reali che alcune persone arrivano a chiamare l’ambulanza o ad andare direttemente in ospedale o da un medico; tale dinamica contribuisce a peggiorare i sintomi che a loro volta peggiorano i psuddetti pensieri, creando un circolo vizioso che è destinato a crescere.
Un altro aspetto molto spiacevole degli attacchi di panico è che dopo averlo provato una sola volta, rimane nella persona colpita la forte paura che questo possa accadere di nuovo, creando così l’ennesimo circolo vizioso.
La principale conseguenza del Disturbo di Panico è la tendenza ad evitare tutte le situazioni o le persone ritenute pericolose; infatti, chi ne è affetto cerca di scappare il prima possibile dalle situazioni o dalle persone che provoca loro malessere, evitano situazioni simili nel futuro, mettono in atto meccanismi che li rassicurino (per esempio portarsi dietro dei medicinali, sedersi vicno alle uscite, aprire le finestre, etc.). Tutto ciò limita sempre di più la persona, soprattutto nei rapporti interpersonali (per esempio, da frequentare luoghi affollati e ristoranti, a prendere il treno o l’aereo).
Tali limitazioni possono portare la persona a non uscire più di casa.
Inoltre, il terrore che posso ripresentarsi l’attacco di panico produce nell’individuo uno stato di tensione generale ed una spiccata irritabilità.
L’approccio terapeutico più efficace ed efficiente nel trattamento del disturbo di panico è quello che impiega sia tecniche comportamentali che cognitive (Sanavio, 1991; Taylor, 2006); la terapia cognitivo-comportamentale inizialmente è stata messa a punto da Barlow e Beck, poi sviluppata in tutto il mondo e sottoposta a stringenti verifiche, che ne indicano il 90% di successo con un tasso di ricadute del solo 5% (Chambless, 2002).
Vediamo ora in cosa consiste l’approccio cognitivo-comportamentale al disturbo di panico.
Innanzitutto è fondamentale fare sul paziente un Intervento Psicoeducativo, ovvero dargli informazioni dettagliate e scientifiche sugli attacchi di panico (per esempio spiegare cos’è il circolo vizioso del panico, vedere come questo si “lega” alle situazioni sociali, evidenziare l’errata valutazione delle proprie reazioni fisiche, nonché esplicitare le idee di diventare pazzi, di svenire o di morire), costruire insieme a lui il suo specifico circolo vizioso del panico ed, infine, individuare quali sono i suoi comportamenti protettivi e quelli di evitamento.
Il secondo passo è fare un Training Respiratorio, dove si spiega al paziente come riconoscere l’iperventilazione, gli si insegna la Tecnica del Respiro Lento e come tenere un Diario giornaliero della frequenza del respiro.
La parte centrale del trattamento è l’Esposizione Enterocettiva, che consiste in una modalità di esposizione graduata applicata ai sintomi interni che scatenano l’ansia, dove l’oggetto di allenamento sono appunto le percezioni interne di tachicardia, vertigine, confusione, “fame” d’aria, etc.; quindi, i passi dell’esposizione enterocettiva sono riconoscere i primi segnali fisici soggettivi di ansia, imparare a generare volontariamente questi segnali ed apprendere a rispondervi in modo adeguato.
Sempre centrali nel trattamento sono le Tecniche Cognitive e le Tecniche Comportamentali.
Le tecniche cognitive consistono nell’evidenziare il ruolo dei meccanismi di protezione e di evitamento nel mantenimento dei circoli viziosi, nell’analizzare un recente attacco di panico per sottolineare tale circolo vizioso, nel confutare le credenze del soggetto (come il bisogno di certezze e/o le varie paure di svenire, di impazzire, di morire, di soffocare, di un attacco cardiaco, di diventare cieco o di avere un ictus) e nell’identificare gli evitamenti ed i mantenimenti (come le situazioni temute, le persone considerate pericolose, il controllo dei sintomi, l’evitamenti dei sintomi fisici o gli oggetti e le persone che danno sicurezza).
Le tecniche comportamentali sono le esposizioni dirette agli stimoli temuti (scelta delle situazioni, come viene organizzata l’esposizione, la durata dell’esposizione, la frequenza dell’esposizione, la gradualità o il flooding, la generalizzazione dei risultati ed i possibili ruoli del terapeuta all’interno delle esposizioni) e gli esperimenti comportamentali.
Infine, ma comunque molto importanti nel trattamento del disturbo di panico, sono le Tecniche di Rilassamento (dal rilassamento muscolare progressivo di Jacobson alle immaginazioni guidate, dal body scan al training autogeno, con la possibilità di integrarle con meditazioni personalizzate).